Così scrivevo sabato 16 marzo, giorno antecedente la Maratona di Roma:
"Non sono pronta.
Non ero pronta per il concorso.
Non sono pronta per una Maratona.
Non sono mai pronta, per la verità, e forse non sono l'unica.
Non siamo pronti ai cambiamenti, alle preoccupazioni, agli esami, agli esiti di questi, alla guida e nel transito pedonale.
Perché, per quanto ci possiamo impegnare nello studio, nell'allenamento, per quanto possiamo usufruire dell'esperienza di vita o del confronto con gli altri, ci sarà sempre l'imprevisto, l'inatteso, a prevalere su di noi.
Io non sono pronta a correre 42 km e potrei motivare la cosa con infinite "scuse", tra le quali una vescica che da 15 giorni mi sta invitando a non correre. E poi...altro.
Però sono qui, ci sono, ci sono voluta essere perché oggi ho i pensieri più leggeri, e perché so che correre è sempre stata la mia automedicazione. È sempre stata la mia maschera di ferro contro il mondo esterno, quella maschera che, quando andavo, sempre secondo le mie possibilità, "forte", mi hanno fatto sembrare "forte" anche a dispetto delle mie fragilità interiori.
Quell'apparire che ci costruisce nel corpo una fortezza, con l'accortezza, però, di accertarsi della solidità di tutti i mattoni.
Un tempo la testa mi avrebbe fatto andare avanti contro ambiente e fisico, con l'impeto del mio segno zodiacale. Oggi ascolto più il fisico che, però, in un circolo vizioso, a sua volta ascolta una mente che deve ancora liberarsi di molte zavorre di pensiero.
Non sono pronta, ma ci sarò, e ci sarò per Roma e tutte le persone che da Roma mi fanno da mattoncini di vita.
Oggi è primavera, e penso che sia arrivata con il mio treno: fa un caldo che si propaga nella pelle.
Non sapevo fosse già arrivata, non ero pronta, perché si può non essere pronti anche a meravigliarsi.
Domani vorrei meravigliarmi."
E sono riuscita a terminarla, questa Maratona. Volevo terminarla, come parte di un percorso di vita.
Perchè Roma mi meritava.
È da novembre, inizio della mia bronchite, che si è protratta per due mesi, che ripetevo a me stessa, come se fosse un mantra, che non sarei stata pronta per correre 42 km.
Seppur a Roma.
Ho sottovalutato una vescica, emersa durante i 30km di Bologna, che ho corso come lungo, che non mi ha dato tregua, fino ad oggi.
E poi, tante problematiche, un carico personale di preoccupazioni, che mi hanno fatto riflettere sulla possibilità di partecipare o no alla Maratona di Roma. E, a quel punto, ho cambiato mentalità. Ho provato ad immaginare questi 42 km come un viaggio personale, come la focalizzazione di una meta da raggiungere, come una splendida giornata di sole nella città che mi ha dato e ancora mi dà una iniezione di vita.
Ho pensato agli amici, i più cari che ho.
Ho pensato agli anni universitari, agli allenamenti, alla vita del centro storico.
E ho terminato la gara, correndo 30km e camminandone 12, quando il dolore al piede (sempre causato da Lei) si stava manifestando con troppa irruenza.
Ho ascoltato il fisico? Ho ascoltato la testa?
Il cuore. Ho ascoltato il cuore, che mi ha invitato ad andare avanti, baciata dal sole, in mezzo a migliaia di migliaia di persone, incitanti e sorridenti.
Ho trovato amici ai ristori, che fanno e faranno parte del mio percorso, e ho desiderato incontrarli.
Ho incontrato bandiere di paesi che ho visitato, ho conosciuto volti nuovi, ho fatto riaffiorare ricordi e sono andata verso la conquista di una medaglia, che ora porto al collo.
Non ero pronta, è vero.
Ma c'ero. Ci sono stata, ho voluto esserci. Non basta?