Siamo in piena pandemia e pare di esser circondati da un vortice di rischi e paure. Il virus c'è e bisogna adattarsi ad una presa di coscienza responsabile. Il diritto alla salute è inviolabile, soprattutto se è degli altri. Io, a scuola, sento continuamente di casi di contagi, espandibili a macchia d'olio. Uso sempre la mascherina, mi sanifico le mani, tengo la distanza di sicurezza. Quel che dicono di fare faccio. Corro sempre al mattino, partendo con il buio, in totale solitudine, tra le campagne. Uso lo scaldacollo, sempre, pur non incrociando nessuno...mi ripara pure dalle correnti d'aria. Ho fatto il vaccino antinfluenzale.
Penso che un minimo di "sacrificio" nell'esercitare condotte responsabili non sia poi cosi' dannoso, anzi...forse potrebbero insegnarci a vivere meglio, igienicamente parlando.
Mi chiedo, però, se sarò pronta a riabbracciare qualcuno, a dare una pacca sulla spalla ad un mio allievo, a battere "cinque" con i miei alunni. Mi chiedo se questa lunga realtà attuale porterà ad un inasprimento dei contatti umani, del nostro calore latino.
Non mi interessa più uscire alla sera (a parte che non si potrebbe con la serenità di un tempo) e limito i contatti a qualche comparsa via web. Lavoro, certo, ma all'aperto e con i consueti tre passi indietro se qualcuno si avvicina.
Ogni tanto riassaporo con la memoria il piacere di un bel viaggio, dell'aria secca di montagna, di panorami nuovi che mi aspettano per essere scoperti. Il nuovo, ecco...forse quello mi manca. Mi manca l'imbottirmi di nuove esperienze di vita per poi distribuirle a chi aspetta che le racconti.
E mi accorgo di parlare sempre meno, ma di ascoltare molto. La gente ha un terribile bisogno di essere ascoltata. Forse lo avrei pure io, nei miei silenzi.
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