Quanti studi faccio sull’intelligenza umana…
Chissà perché…sarà perché
sono psicologa, ma in verità, sono sempre stata attratta da tutto ciò che potesse stare
alla base di un meccanismo cerebrale.
Mi chiedo spesso perché mi piaccia così tanto ascoltare le
persone, fino a rendere “mio” tutto quello che esse mi donano, raccontandomi i
propri vissuti. Beh, innanzitutto pongo alla base un profondo rispetto per chi
mi parla, calandomi in un ruolo di ascoltatore attivo, che non giudica ma che
piuttosto “digerisce” anche contenuti asincroni rispetto alle proprie
ideologie. Ritengo, e lo ho anche detto a qualcuno (ahimè, non mi ha mai capito
fino in fondo), che donare la propria fiducia, parlando di sè, non dovrebbe
essere un peso, ma un piacere, perché qualcuno ha scelto te come destinatario
dei propri doni esperienziali.
Io, ogni volta che qualcuno apre una porta verso di me, ne sono
orgogliosa, e potrei pure dispiacermi qualora potesse farlo con qualcun
altro. In un mondo sempre più digitale e sempre meno verbale, parlare di sé è
un immenso regalo. Così come è un dono ascoltare, se lo si fa con interesse.
Quando due persone si accordano viene sempre fuori un suono
armonioso che avvolge anche l’ambiente circostante: si può percepire un moto
oscillatorio delle onde di un mare calmo, che acquieta anche i propri ritmi
circadiani. Il problema, nella comunicazione, avviene sempre quando vi è una
incompatibilità tra chi comunica e chi riceve. L’incomunicabilità è proprio
data da questo: vi è, da parte del mittente, volontà a comunicare, mentre il
destinatario si chiude all’ascolto. Ben diversa è una difficoltà comunicativa,
nel quale due persone comunicano ma la codifica dei messaggi è differente. Io
ho sempre cercato di capire questo elemento, quando mi trovo a contatto con le
persone: può capitare che qualcuno non voglia proprio ascoltarti. E dispiace.
Alla base di una vicenda che è stato un po’ un fulmine a
ciel sereno sulla mia precedente routine, ho maturato l’autoconsapevolezza di
avere molte risorse. Mi sono scoperta altruista, disposta al mettermi in
secondo piano per un “bene comune”. Ho trovato anche, scavando nel mio
profondo, quel po’ di umiltà che mi ha fatto capire che il chiedere aiuto può
essere anche un atto di coraggio.
E chi non mi ha mai compreso, chi trapassa il mio sguardo
con indifferenza, forse ha perso una occasione per arricchirsi, per ricevere un
regalo fatto di valori, e magari di qualche perla profonda maturata nel tempo. Si dà se si riceve.
E la corsa?
Sto continuando a
fare controlli per il ginocchio: corro da oltre 15 giorni consecutivi, con nuoto e bici in
abbinamento, ma non spingo e mi affido a chi sa leggere le risonanze meglio di me.
Ho un “occhio greco” che mi segue nei miei vari iter diagnostici. Esso è un buon auspicio: me lo sono donato.
Ma se corro sono veramente libera.
Ho imparato nient'altro che questo: accontentarmi; vivere ogni possibilità offerta con l’entusiasmo
che si ha nel guardare un’alba o un tramonto: esse ci sono sempre, da quando
siamo nati, ma ogni volta ci regalano qualcosa di nuovo.
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